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La conversazione necessaria

La conversazione necessaria

Autore: Sherry Turkle

Editore: Einaudi, 2017, pp.447, € 26.00

Genere: saggio socio-antropologico su come la tecnologia sta trasformando i nostri stili di conversazione e di costruzione delle relazioni interpersonali

Chiave di lettura: Tecnologia, comunicazione e linguaggio

Frase chiave: “Riferisco sullo stato attuale della conversazione nelle scuole, nelle università, nelle aziende, osservando i bambini nel loro sviluppo e gli adulti alle prese con l’amore, l’apprendimento e la vita professionale. In ciascun caso, descrivo quanto siamo vulnerabili al desiderio di una mera connessione on line – senza dubbio allettante – e mi ergo a paladina del recupero di tutta la ricchezza della vera conversazione”.

 


 

 

Saper conversare è un’arte preziosa, troppo spesso sottovalutata dalle nuove generazioni abituate ai rapporti veloci vissuti perlopiù on line. Eppure è nel dialogo vis-à-vis, con i suoi tempi, i suoi ritmi e la sua ricchezza informativa, che impariamo a sviluppare l’empatia ea sperimentare la gioia di essere ascoltati, a coltivare relazioni profonde e l’introspezione.

A sostenerlo è Sherry Turkle, docente di Sociologia della scienza e della tecnologia al MIT di Boston, in La conversazione necessaria, un’opera rigorosa e monumentale (447 pagine) che allarma sui danni comunicativi e relazionali provocati dall’affermarsi della digital trasformation. La tesi di fondo è che le nuove tecnologie offrono molti strumenti per favorire l’interazione eppure, mai come oggi, le relazioni umane sono diventate così difficili e carenti (in famiglia, con gli amici, sul lavoro), depauperate dalla velocità, a scapito dell’approfondimento; dalla ricerca di consenso, a scapito del confronto costruttivo. L’on line prende il sopravvento sulle conversazioni vis-à-vis e impone nuovi modi di pensare e di esprimersi, di sentirsi parte di un gruppo, di vivere l’essere in rete come una fonte di identità. I giovani, scrive Turkle, dicono di aver bisogno di condividere un pensiero o un sentimento per poterlo pensare e sentire. “Ho bisogno di sensazioni forti, devo subito inviare un sms”, detto altrimenti, “Condivido, quindi sono”. Ma con una sensibilità di questo tipo si finisce per costruire un Sé fittizio, fondato su azioni che pensiamo possano piacere agli altri. In realtà non facciamo che reagire al mondo circostante anziché imparare a conoscere noi stessi. La conversazione vis-à-vis che richiede attenzione alle sfumature e ai messaggi impliciti. Mentre dai dispositivi digitali ci si aspettano risposte immediate e, per ottenerle, si finisce persino col porre domande superficiali, anche su questioni delicate e complesse.

C’è di più. Fra giovani si tende ad evitare i contrasti anziché lottare per affermare la propria tesi. “La possibilità che un contrasto di opinioni, se affrontata vis-à-vis, possa diventare occasione di crescita è impensabile”. Rinunciare a difendere le proprie idee svilisce la capacitò dialettica. La conversazione si riduce a scambio di battute, superficiali, spesso solo a caccia di consenso. Attribuendo scarsa importanza alla conversazione i giovani ne pagano lo scotto, ad esempio nei colloqui di lavoro dove, sempre più spesso, i selezionatori valutano la capacità dei candidati di tenere testa ad una conversazione. Per questo negli Stati Uniti proliferano i corsi universitari sulla conversazione. Anche da noi se ne avverte la necessità. di recente, è nato il Master in Retorica, diretto da Roberto Mordaci, preside della Facoltà di Filosofia dell’università Vita-Salute del San Raffaele di Milano, per recuperare l’arte perduta della dialettica. E non è il solo.

Con la rivoluzione digitale ad essere a rischio è anche l’intelligenza emotiva. “Se c’è un problema preferisco inviare un sms anziché parlare”, si sente dire sempre più spesso. On line ci si sente protetti. Dietro ad un monitor sembra più facile tenere a bada le emozioni. Ma è solo un auto-inganno perché, prima o poi, i nodi verranno al pettine. Altra trappola della connessione on line, illudersi di essere meno soli. In realtà corriamo il rischio opposto. “Oggigiorno desideriamo essere uno accanto all’altro e al tempo stesso altrove”, scrive la Tarkle. Al primo sintomo di noia ci si connette per distrarsi. Ma se non sappiamo stare soli con noi stessi finiremo per sentirci sempre più isolati.

Multitasking, deconcentrazione, frammentazione, superficialità nelle relazioni, difficoltà ad affrontare le emozioni negative vis-à-vis, sono tutte disfunzioni indotte dalle nuove tecnologie. Il rischio più grave, però, sembra essere la perdita della capacità introspettiva. Questo spiega forse la popolarità che stanno avendo ovunque le pratiche di mindfulness. In un mondo “disconnesso dalla propria interiorità” si avverte la necessità di ritrovare uno spazio per fermarsi a riflettere, dove il silenzio non sia un problema. “Prima che arrivassero gli smarphone, trovavamo i nostri silenzi “pieni”, anziché noiosi, scrive Turkle, ora invece li fuggiamo senza averne nemmeno conosciuto il valore”. Eppure la solitudine, e la noia che ne deriva, se accettate come componenti della vita, posso diventare momenti di crescita e di apprendimento. Viverla come fatto naturale spinge a cercare, prima il contato con sé stessi, poi con gli altri.