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LA MENTE NEL FUTURO (ROIEDIZIONI)

LA MENTE NEL FUTURO (ROIEDIZIONI)

LA MENTE NEL FUTURO

Gabriella R. Kellerman e Martin Seligman

ROIEDIZIONI

pp. 287 € 24,90

Recensione di Raul Alvarez

r.alvarez@inalto.it

In tempi di incertezza e malessere diffuso, il nuovo libro di Martin E.P. Seligman, padre della Psicologia positiva, desta curiosità e, perché no, un pizzico di speranza, rivelandoci quali competenze (e qualità umane) occorrono oggi per far fronte ad un mondo infestato da cigni neri e altre catastrofi.

Scritto a due mani, con la collega Gabriella R. Kellerman, ne emerge uno scenario turbolento dove le aziende vedranno con maggior frequenza i propri modelli di business invecchiare rapidamente. I processi di automazione (perfezionati dall’intelligenza artificiale) sostituire gran parte della forza lavoro e le conoscenze acquisite con duro studio per essere all’altezza dei tempi, diventare obsolete in men che non si dica. Ce n’è quanto basta per avvertire un’ansia crescente. Per far fronte alla quale occorre una mente orientata al futuro, capace di anticipare i cambiamenti e pianificare strategie per gestirli, prima che ci sovrastino.

“Gli studi sugli ambienti lavorativi condotti nei nostri laboratori – spiegano gli autori – ci hanno consentito di raccogliere dati su centinaia di migliaia di lavoratori che operano in vari i settori in ogni parte del mondo e d’identificare le 5 caratteristiche chiave dei lavoratori per stare al passo del XXI secolo”. 1) Resilienza e agilità cognitiva, ovvero “capacità di muoverci mentalmente, avanti e indietro, fra i molti scenari possibili, prima di concentrarci e agire su quello più promettente. Leggere le correnti, analizzare le situazioni e lasciarci quante più opzioni possibili per non rimanere bloccati”.  E ancora, capacità di regolazione emotiva, autocompassione, ottimismo e senso di autoefficacia per mantenere quello stato mentale positivo necessario per rialzarsi dopo una battuta d’arresto. 2) Significato e importanza attribuita al lavoro che fa emergere il proprio purpose, quel sentire profondo e potente che libera energia e motivazione. Dopotutto “Se gli individui percepiscono i loro sforzi come privi di valore non saranno motivati a lavorare, figuriamoci poi a superare le sfide che li attendono”. 3) Capacità di costruire rapporti rapidi, ma significativi, generatori di solidarietà e benessere, fisico ed emotivo. Sentimenti che muovono empatia e compassione nel riconoscersi membri della stessa umanità. Nonostante dobbiamo aspettarci che domani lavoreremo più spesso con i co-bot,  anziché con gli umani. Non ultimo, il diffondersi del lavoro a distanza che innesca un  grosso dilemma: da una parte, il sentirsi finalmente liberi di organizzare la propria vita, guadagnando tempo e salute. Dall’altra il rischio di isolamento che riduce il senso di comunità e appartenenza accrescendo la paura di “rimanere ai margini” perdendo opportunità di crescita  e carriera”. 4) Prospezione, sorta di pensiero predittivo capace  di proiettarsi al futuro, anticipandolo; un’abilità fondamentale per prosperare in quest’era d’incertezza. “Oggi che la strategia non sembra più declinabile in piani ventennali, la capacità di prospezione diventa essenziale.Nelle aziende si alimenta con gli in-put che arrivano dal botton-up, e resi disponibili in tempo reale, che consentono di anticipare i cambiamenti”. 5) Creatività e innovazione, una capacità propriamente umana per reinventarsi in un mondo che cambia e ci cambia, continuamente. Una skill essenziale, questa, considerata la crescente automazione. Ma “Il lavoro che resterà da fare agli esseri umani sarà intrinsecamente più creativo”, sostengono gli autori.

I temi trattati al libro non presentano novità sorprendenti, ma la narrazione in cui sono inseriti è decisamente interessante. Si parte da un excursus su come le innovazioni tecnologiche abbiano sempre generato shock che hanno  finito per agire sul cervello umano generando nuove connessioni neuronali per renderlo  adattivo. Interessante anche la notazione sul fatto che, con l’industrializzazione e il diffondersi di mansioni ripetitive, la nostra capacità di prospezione si è indebolita. “Durante il passaggio dall’era della ricerca itinerante del cibo all’agricoltura, la nostra specie è rimasta vittima del proprio successo. Nell’era industriale la complessità del cervello umano è stata messa al servizio della progettazione delle macchine,dopodichè il processo creativo si è esaurito. Per chi era addetto a farle funzionare quasi nessuna creatività risultava necessaria ad un lavoro ripetitivo.

Nelle aziende oggi occorrono meno competenze tecnologiche e più capacità psicologiche durevoli, ovvero quel capitale psicologico (o metacompetenze) che non invecchiano perché fanno parte del  “super potere” proprio degli esseri umani, troppo spesso sottovalutato sebbene ci distingua dalle altre specie viventi e, ancor di più dalle macchine con cui dobbiamo fare i conti. Il libro di Seligman e Kellerman è un invito a riscoprirlo .