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Mind The Change

Mind The Change

Autore: Alberto Banan, Armando Cirriciono, Alberto Mattiello

Editore: Guerini Next 2017, pp.286, € 28.00

Genere: saggio sull’innovazione

Chiave di lettura: Come la tecnologia può cambiare qualunque business.

Frase chiave: “Le possibilità dischiuse dal nuovo paradigma tecnologico sono incommensurabili rispetto a quelle del passato e reclamano nuovi modelli d’interpretazione: richiedono di disimparare ciò che si è fatto finora e di imparare un modo nuovo di rapportarsi con il mercato e con la produzione”.

 


 

 

Innovazione, è il tema del momento. I testi migliori sono in lingua inglese, e non sempre tradotti. Gli autori italiani li emulano, senza quasi mai aggiungere un punto di vista originale. Fortunatamente non mancano eccezioni come Mind The Change, scritto da tre brillanti autori che di innovazione non solo scrivono, ma preparano anche le startup a realizzarla. Alberto Baban è Vice presidente di Confindustria e membro dell’Innovation Bord di Ca’ Foscari, un imprenditore seriale che ha dato vita a 18 imprese. Armando Cirrincione, Docente di Marketing all’Università Bocconi e marketing advisor dell’incubatore SpeedMi-Up. Alberto Mattiello vive a Miami dove gestisce il Future Think, acceleratore internazionale di J. Walter Thompson.

Un testo ricco di case history e analogie calzanti come quella di Ruud Gullit, “Se durante una partita di calcio vi fermate ad osservare la palla perderete la capacità di cogliere le forze in campo e prevedere l’evolvere del match”. Per realizzare un’innovazione che funzioni occorre uno sguardo sistemico per immaginare l’impatto che l’innovazione avrà sul piano personale, sociale, di business, persino del pianeta. Dunque non guardate la palla, ma le forze in campo. È ciò che prova a fare Mind The Change spiegando dove l’innovazione inizia, come farla, con quale approccio, quali implicazioni a livello sistemico e perché. “Questo libro – sostengono gli autori – parla di come la tecnologia può cambiare qualsiasi business, in ogni settore. Tesla, ad esempio, è un prodotto digitale e ha più cose in comune con il vostro smartphone che con la vostra automobile”.

Per fare innovazione occorre anzitutto un nuovo di paradigma (o modello mentale) che ci liberi da convinzioni persistenti e inadeguate. L’imperativo è dunque: disimparare (unlearn) ciò che impedisce di cogliere i cambiamenti in atto. Ma non è semplice perché occorre saper riconoscere quali modelli stanno perdono efficacia, e magari scoprire che sono quelli su cui abbiamo costruito le nostre carriere e fondato certezze inossidabili. Aggiornare i modelli mentali è d’obbligo, ma non basta. Talvolta occorre attivarne di radicalmente nuovi perché i cambiamenti sono sempre più distruptive. Essere aperti alle novità tecnologiche non basta se non cambiamo anche il modo di farne uso. A poco serve adottare i social media se poi lo usiamo solo come un canale aggiuntivo. Bisogna pensarli come un mezzo per approcciare in modo nuovo un mercato dove sono i consumatori a dettare le regole del gioco. Passo successivo, il relearn,  imparare un nuovo modo di rapportarsi al mercato per ridisegnare i modelli di business e la creazione del valore.  “Il futuro del business – avvertono gli autori – è nelle mani di chi per primo lo osserva in ottica digital. Il rischio è rincorrere un’innovazione fine a se stessa senza adottare una strategia.

Per distinguere le mode dai veri trend gli autori suggeriscono di chiedersi: perché quest’innovazione potrebbe avere successo? Quale impatto avrà nei mercati e nelle vite dei clienti Quale tecnologia abilita quest’innovazione e come essa potrebbe essere applicata nel nostro settore?

Altro tema, il “Reverse engineering” dell’innovazione, ovvero la necessità di fare un passo indietro per capire il bisogno latente che ispira un’innovazione (rewind); l’impatto futuro che le tecnologie avranno non solo nel settore di nascita, ma in un concetto più ampio di mercato (fast forward); che conseguenze avrà nei nostri futuri possibili (enfuturing). “Le persone avvertono sempre più la necessità di liberare la propria mente e concentrarsi sulle cose importanti”. Le nuove tecnologie IOT assolvono questa necessità come il  “vaso intelligente”, prodotto dalla Perrot, i cui sensori abilitano chiunque a diventare un “provetto giardiniere”. Oppure il sistema di illuminazione Hue di Philips, basato su tecnologia led e controllato da un software attivabile a distanza tramite app. Un metodo intuitivo e adattivo, capace di sintonizzarsi con l’umore delle persone e fornire alla casa la qualità della luce più adatta al nostro stato d’animo. “Mostrando una foto alla app, le luci vengono modificate di intensità e colore sino a riprodurre l’illuminazione della foto. Si vuole l’atmosfera di quel tramonto a Santorini che ci fece innamorare? Mostrate la foto alla app  e il vostro soggiorno si trasforma nella terrazza dove tramontò il sole greco”.

Partendo dalle opportunità offerte dallo IOT, il libro s’inoltra sull’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale che tanti clamori e timori solleva. “Gli strumenti di AI – auspicano gli autori – non dovrebbero essere sostitutivi delle persone, ma un’estensione collaborativa per potenziare l’atto creativo”.  Si passa poi a dissertare di filosofia Digital First di cui Tesla è l’esempio più eclatante. “Le Tesla – spiegano gli autori – sono “prodotti intelligenti”, governati da un software in evoluzione, capaci di monitorare ciò che accade, elaborare informazioni, scegliere risposte, imparare dai feedback, ponendo sempre al centro il cliente con la sua esperienza d’uso”. Si parla poi di Future Thinking, “una filosofia strategica che anticipa i problemi e costruisce opportunità con un occhio puntato al futuro e l’altro su ciò che può essere fatto per allineare il business alle nuove possibilità”. Viene rivisitato il concetto di soddisfazione alla luce della Digital First  e altro ancora.

Mind The Change è un libro ricco di racconti di innovazione e di modelli esplicativi per comprendere le logiche dietro ai nuovi paradigmi che le ispirano. Aggiornato ed esaustivo. Da leggere e rileggere per la ricchezza di contenuti e di molte domande che solleva. Impegnative, ma una volta tanto l’impegno vale lo sforzo.