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Trigger

Trigger

Autore: Marshall Goldsmith e Mark Reiter

Editore: Franco Angeli, 2015, pp. 210, € 25.00

Genere: saggio su coaching e  sviluppo personale

Chiave di lettura: cosa innesca il cambiamento personale

Frase chiave: “Un trigger è un qualunque stimolo o impulso in grado di ridisegnare i nostri pensieri e le nostre azioni. L’ambiente che ci circonda è il meccanismo di attivazione più potente che esista, e non sempre opera a nostro favore”.


Ancora un libro sul coaching?  È stata questa la mia reazione all’arrivo di Trigger sulla mia scrivania. A lungo l’ho accantonato. Ogni tanto qualche sbirciata, senza mai addentrarmici. Le pubblicazioni sul tema  sono troppe. Difficile scovarne una che faccia la differenza. Avrei continuato ad ignorarlo se non avessi conosciuto l’autore al Forum delle eccellenze (Milano, 17-18 Novembre) dove ha tenuto uno speech effervescente. Sessantotto anni ben portati, parlantina fluviale e un’energia inesauribile che gli ha fatto guadagnare parecchi applausi. 11 milioni di miglia percorse in un anno da un capo all’altro del globo per parlare del suo tema proferito: come innescare il cambiamento interiore attraverso il coaching e superare gli ostacoli alla realizzazione dei propri obiettivi.

Riprendo in mano il libro, stavolta per leggerlo. Ha una scrittura brillante, infarcita di argute metafore ed eloquenti citazioni. Non è incentrato solo sulla pratica del coaching, come immaginavo, contiene anche un metodo e un pizzico di teoria. Soprattutto è ben congeniato, sebbene i suoi consigli sembrino sin troppo semplici ma, come lui stesso sottolinea, non per questo è  facili da mettere in pratica. Inizia segnalando alcuni fra i principali “attivatori” (triggers) psicologici che stroncano sul nascere ogni aspirazione al cambiamento dei comportamenti. Meccanismi psicologici frequenti e diffusi come: sopravvalutare la propria forza di volontà. Giudicare “gli scivoloni” che ci distolgono dai nostri migliori propositi come se fossero “eccezioni” cui non dare troppo peso, anche se poi finiamo per ricaderci. Pensare di non avere bisogno d’aiuto. Illudersi che c’è sempre tempo per cambiare, e via dicendo. Meccanismi che distorcono la realtà. Ma ce n’è uno, più subdolo e potente con cui fare i conti: l’ambiente. “I soggetti dei miei colloqui si concentrano spesso sul comportamento positivo o negativo, raramente parlano dell’ambiente in cui tale comportamento si è verificato. Se c’è “una malattia” che cercherò di curare in questo libro è proprio l’interpretazione errata del nostro ambiente. Pensiamo di averne il controllo, ma è lui a controllare noi. Pensiamo che operi a nostro favore, invece non fa che metterci alla prova prosciugandoci le nostre energie. Alcuni ambienti sembrano progettati addirittura per spingerci ad agire contro i nostri interessi, come i centri commerciali che inducono allo shopping sfrenato”.

Un trigger di cambiamento può essere produttivo o controproducente. Su questa dicotomia, Goldsmith costruisce un efficace modello che descrive la tensione fra ciò che vogliamo e ciò che ci serve. Dalla combinazione di questi due fattori sviluppa un quadrante a quattro dimensioni così articolate: incoraggiante (lo voglio), scoraggiante (non lo voglio), produttivo (ci serve) o controproducente (non ci serve).  Ulteriormente suddiviso in altri quattro sotto-criteri: 1) ciò che vogliamo e che ci serve (lodi, riconoscimenti, soldi),  2) ciò che vogliamo e non ci serve (tentazioni, distrazioni, piaceri),  3) ciò che ci serve, ma non vogliamo (regole, punizioni, dolore), 4) ciò che non ci serve e non vogliamo (pressioni, ostracismo, isolamento). “Questo modello – spiega Goldsmith – permette ai miei cochee di fare un inventario degli attivatori presenti nella loro vita, aumenta la consapevolezza dell’ambiente in cui si trovano e aiuta a verificare se stanno agendo in un quadrante produttivo. Scoprire di trovarsi sulla parte sbagliata della matrice è un’importante lezione di umiltà, a me ha insegnato che un attivatore è un problema solo se la mia risposta a tale stimolo crea un problema”. Entriamo così nel tema della proattività, e qui Goldsmith  propone una revisione del famoso modello del “circolo delle abitudini” (segnale, routine, gratificazione) illustrato nel famoso libro di Charles Duhigg Il potere delle abitudini (recensito sul numero di  Maggio, 2017 de L’impresa). A questi tre fattori, Goldsmith ne aggiunge un quarto: la consapevolezza. “Quando vogliamo modificare un comportamento interpersonale, si aggiunge un ulteriore fattore critico: gli altri. La nostra risposta non è sempre automatica poiché, in quanto esseri umani senzienti, consideriamo come le altre persone reagiranno alle nostre azioni”. Dunque, fra lo stimolo e la risposta si frappone sempre la nostra scelta, intenzionale o inconsapevole che sia.

Riflessioni ricche di suggestioni anche quelle dedicate alla formulazione delle domande, dove l’autore distingue le domande attive da quelle passive. Ad esempio, è passiva la domanda: “Hai obiettivi chiari?” perché la responsabilità è focalizzata sull’esterno, la mia azione dipende dagli altri. Per trasformarla in una domanda attiva basterebbe aggiungere: “Hai fatto del tuo meglio, per stabilire degli obiettivi chiari?”, il focus è qui sulla responsabilità individuale. Ci sono poi quelle che lui chiama le domande quotidiane, uno strumento di commitment. “Annunciano la nostra intenzione a fare qualcosa creando un vincolo con essa”. Una tabella efficace aiuta infine a quantificare giornalmente il nostro livello di impegno quotidiano rispetto agli obiettivi prefissati. Una soluzione semplice, ma funzionale ad alzare il livello di consapevolezza dei progressi (o regressi) giornalieri, rispetto ai propri propositi. Infine, l’attenzione si sposta sula contraddizione tipica degli esseri umani: fra il dire (il piano o la strategia) e il fare (l’execution) ci passa il mare. Come superarla? Attraverso la presenza del coach che funge da mediatore  fra due identità: quella del planner lungimirante e dell’esecutore miope. “Il coach ci ricorda che, dopo la fase di pianificazione, di solito diventiamo persone inaffidabili e ci rinfresca la memoria su quello che occorre fare”.